“QUESTA non è una FIABA” di Beatrice Spada

di | 12 Gennaio 2024
"QUESTA non è una FIABA" di Beatrice Spada

Uno dei migliori romanzi gotici che abbia letto in questi anni! Che dire di più: vengono difficili anche le parole, perché “QUESTA non è una FIABA” è una storia coinvolgente fin dalle prime righe e impeccabile.

Vuoi che entri più nei particolari? Ci proverò.


Dettagli del libro

Titolo: QUESTA non è una FIABA

Autrice: Beatrice Spada

Casa editrice: self publishing

Genere: romanzo gotico di formazione

Anno: 2023

Pagine: 295 pp.

Formato: cartaceo ed ebook

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Trama

Fiabe e leggende ci raccontano da sempre chi è il mostro e chi l’eroe: e se ci avessero mentito?

Ci hanno raccontato che il principe sconfigge sempre il drago, che gli spiriti vendicativi sono malvagi e che il bacio del vero amore è il coronamento dell’unico sogno possibile per la principessa, il suggello del vissero per sempre felici e contenti.
Ma questa non è una fiaba. Non ci sono tazze parlanti né animali magici. Nelle stanze diroccate del Castello gli arcolai sono pezzi di ferro arrugginito, e se mai un guerriero dovesse tentare di salvare la principessa, dovrebbe fare i conti con selvaggi capelli rossi capaci di uccidere.

Scozia, XIX secolo. Le sorelle Kenna e Fenella Murray, rimaste orfane, vengono allevate da una coppia misteriosa nel rudere di un antico castello avvolto dalla nebbia nella brughiera. Fenella è romantica e sognatrice, Kenna impavida e combattente: entrambe crescono con le storie contenute nei libri, ma quando dovranno scontrarsi con il mondo reale, saranno costrette a lottare per conquistarsi il diritto di decidere chi vogliono essere davvero e la libertà di scegliere il proprio destino.


Prologo 1886

I capelli di Kenna Murray potevano uccidere.

O perlomeno, era di questo che si era convinta la bambina, quel giorno in cui la madre le aveva detto di non spettinarsi e lei non era stata a sentire: aveva disfatto le ciocche rosse come il fuoco e la mamma era morta.

Kenna le voleva molto bene, non avrebbe mai voluto che, per colpa sua, il cavallo del signor Taylor imbizzarrisse proprio mentre lei usciva in strada.

L’aspetto peggiore di quei capelli, poi, era che Kenna non sapeva mica come controllarne il potere. Infatti, quando il padre si era risposato sei mesi dopo con la signora Thorburn, il giorno delle nozze Kenna aveva sciolto la treccia pensando a quella che sarebbe diventata la sua matrigna, e non era morto proprio nessuno.

“Deve essere perchè lei è malvagia molto più dei tuoi capelli” aveva concluso Fenella Murray. “invece la mamma era tanto buona, quindi l’hanno uccisa subito.”

Quel che aveva detto Fenella, cinque anni appena compiuti, non faceva una piega. Anche perché Kenna non aveva nulla su cui basarsi per poterla smentire: la matrigna era davvero malvagia. Con il papà no, era gentile, ma con loro era terribile. Le sberle e le frustate arrivavano alla prima occasione, anche se non le meritavano. Poteva starci, la sberla, se si soffiavano il naso nella gonna, ma se stavano solo camminando per casa, che problema c’era? Perché picchiarle così forte da farle rotolare sul pavimento?

E non era l’unica cosa brutta che faceva. Quando il papà era fuori, la signora Thorburn si metteva a parlare con la lampada del soggiorno e diceva frasi come: “Io detesto i bambini e se potessi prenderei le testoline di quelle due schifezze che girano per casa mia e le fracasserei a terra fino a farle diventare polvere …”. O ancora, più di recente, si lamentava che non avrebbe mai potuto sopportare di avere figli suoi, che sarebbe stata una disgrazia immonda, intollerabile.

Dopo quell’ultimo discorso alla lampada, la matrigna aveva cominciato a essere poco gentile anche con papà, pure se lui sembrava non accorgersene per niente: era solo contento per l’arrivo di un nuovo bambino.


Recensione

Come molte delle storie ottocentesche dei fratelli Grimm, tutto ha inizio in una casetta al limitare del bosco. Abbiamo una dolce famiglia felice, i Murray: padre, madre e due figlie, Kenna e Fenella, sconvolte dalla morte dell’amata genitrice. Tutto sembra peggiorare con il subentrare di una “matrigna”, la signora Thorburn, che segretamente disprezza le bambine e la sola idea di maternità. Generare una creatura sarebbe per lei “una disgrazia immonda, intollerabile”.

E’ la scoperta della gravidanza che fa scaturire in lei quindi una rabbia folle, il desiderio di porre fine al colpevole di questa situazione e a “quelle due schifezze che girano per casa”. Armata di ascia e fuori di sé, porta solo in parte il suo piano sanguinoso. Le bambine riescono infatti a fuggire scalze nel folto del bosco, dove assisteranno alla morte della donna.

… giaceva tra il fogliame con gli occhi spalancati sul nulla e una pozza di sangue dilagava intorno a lei, annaffiando il terreno ghiacciato del sottobosco. Per come era caduta, si poteva intravedere sul suo ventre il lembo di un taglio profondo, un’incisione netta da cui si scorgevano le viscere.

Miracolosamente salve, Kenna e Fenella, cercano un rifugio e lo trovano nel castello in rovina al limitare della scogliera. Lo si ritiene abbandonato da anni, ma sembra non essere la verità: lì vi abitano un uomo e una donna, dai modi gentili e di grande cultura. Sono Alastair e Maisie, fratello e sorella, proprietari della dimora da tempo immemore.

In quel castello le piccole vivono per dieci anni, dal 1886 al 1896, venendo istruite in tutte le arti e le scienze come due nobildonne. Imparano anche e soprattutto a provvedere a se stesse e a sopravvivere senza l’aiuto di un adulto.

L’unica cosa a cui non sono pronte è la vita reale, quella fuori dai libri. Il vivere isolate dal resto del mondo non ha dato loro modo di confrontarsi con i simili, capirne pregi e difetti. E’ proprio frequentare il villaggio che metterà fine all’idillio, alla loro bella vita al riparo dai dolori e dalla grettezza del genere umano.

Fulcro di tutto il romanzo è senz’altro l’amore, di cui sono presenti diverse sfumature. Vi è l’amore tra sorelle, fatto di complicità e sostegno, l’amore/violenza (che amore non è) di Hugh per Fenella, l’amore/odio della matrigna, che si trova a gestire qualcosa di non voluto e imposto, e infine quello più puro e incondizionato, l’amore “d’anima” provato nei confronti delle bambine dai loro benefattori.

Questi ultimi riferimenti invitano ad un discorso ben più ampio sulla genitorialità, sul voler essere o meno genitori. Esserlo non è un compito a cui tutti aspiriamo o siamo portati. Il libero arbitrio ci consente di fare scelte per la nostra vita e crescere delle creature non sempre è vista come necessità. C’è chi sente di non essere destinato a un tale compito e chi invece si presta anima e corpo per il futuro di altri esseri umani, anche se a unirli non sempre sono legami di sangue. Maisie è senza ombra di dubbio esempio dell’amore materno più grande. Il sacrificio per “le sue bambine” è qualcosa che strappa il cuore, così forte che me ne fa commuovere anche solo il ricordo.

Apro una parentesi anche sul discorso amore/violenza, ribadendo quanto detto spesso di fronte a casi di maltrattamento o abuso: se una persona ti costringe fisicamente o psicologicamente a fare qualcosa che è contro il tuo volere, non lo fa per amor tuo, ma perché ti ritiene una cosa in suo possesso, di cui può disporre come e quando vuole.

Ma non poteva dirlo a nessuno, perché era troppo orribile e troppo vergognoso. Dopotutto, era colpa sua se era successo… Era colpa sua perché aveva smesso di imparare a combattere e a difendersi. Era colpa sua perché era una rammollita senza forze, che sapeva solo tessere e fare dei bei vestiti, e leggere e scrivere. Era colpa sua, era solo colpa sua.

Occorre dire no e fuggire da quel sistema di autoconvincimento che siamo noi ad essere sbagliat*, a meritarci le punizioni inflitteci. Stare zitt* e non ribellarci porta solo al nostro annientamento. Bisogna invece denunciare e allontanarsi da chi ci fa del male, sempre!

Ammetto di avere adorato ogni personaggio e ogni ambiente di “Questa non è una fiaba”, perché così ben caratterizzati da uscire dalle pagine. Kenna e Fenella, le protagoniste principali, crescono e maturano una propria identità sotto i nostri occhi proprio come due ragazze vere: la prima ha uno spirito guerriero, ama la libertà e mettersi alla prova, la seconda è invece romantica, sognatrice e desiderosa di realizzarsi come donna, accanto al suo principe azzurro.

Ho trovato molto consono anche il titolo. Il libro infatti, pur ricordando favole del passato, con sfumature grigie, macabre e gotiche, risulta a tratti veramente inquietante e/o splatter, non adatto certamente a minori di quattordici anni.

Consiglio la lettura a chi ricerca un pizzico di soprannaturale, un poco di avventura e una spruzzata di fantasia.


Biografia dell’autrice

Beatrice Spada è nata nel 1995 e vive a Torre del Lago Puccini con il marito e la loro gatta.

Laureata in design della comunicazione presso il Politecnico di Milano, pratica come designer professionista nei settori dell’editoria, del brand design e del visual marketing. Il suo lavoro consiste in larga parte nel progettare storie, per raccontare e mostrare al pubblico a volte dei prodotti, a volte delle aziende, o ancora delle persone.

QUESTA non è una FIABA” è il primo romanzo che pubblica a suo nome.